Ritenuto dall’autore un «vero peccato di gioventù» in quanto creatura di quel «poeta delle duchesse» come lui stesso si era definito durante la stagione di romanziere mondano del periodo milanese, “Le storie del castello di Trezza” appartiene al genere gotico, ed è ambientato in un castello medievale con tanto di fantasma e storia di amore e morte.
Una comitiva di turisti visita il castello di Trezza. Uno fra loro, Luciano, racconta la leggenda del barone don Garzia d’Arvelo e della sua seconda moglie Isabella ai coniugi Giordano e Matilde, che rimane affascinata a tal punto dalla storia che si immedesima in essa.
“Prima delle nozze, le avevano detto degli spiriti che si sentivano nel Castello, e che la notte era un gran tramestio pei corridoi e per le sale, e si trovavano usci aperti e finestre spalancate...”
Nonostante gli avvertimenti Isabella sposa don Garzia e va a vivere nel castello a picco sul mare. E se il fantasma pare aver spaventato anche gli uomini più coraggiosi del barone, Isabella non ne ha paura, pensa che i fantasmi non esistano...
Giovanni Verga (Catania, 2 settembre 1840 - Catania, 27 gennaio 1922) nasce da una famiglia di nobili di provincia con scarse risorse finanziarie, costretta a ben comparire data la posizione sociale. Sembra la famiglia tipica uscita dai suoi romanzi.
Verga è stato considerato il maggior esponente della corrente letteraria del Verismo.
Si ispirò al Naturalismo francese che metteva al centro della narrazione la rappresentazione della realtà popolare, ma mentre i naturalisti erano convinti che con la letteratura potessero cambiare la realtà, esprimendo giudizi e punti di vista sui fatti narrati, Verga era pessimista, non dava mai opinioni personali all’interno della narrazione e credeva che la realtà non potesse essere modificata.
A questo filone narrativo appartiene il “Ciclo dei Vinti”, di cui fanno parte “i Malavoglia” e “Mastro Don Gesualdo”.
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